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Le politiche attive al centro della ripartenza

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Le politiche attive sono il perno al quale agganciare la ripresa del Paese. All’indomani dell’ultimo decreto legge che prevede nuove misure insieme alla proroga del divieto di licenziamenti per alcuni settori più  crisi, il tema è, difatti, quanto mai attuale e urgente. 

La Confsal presenterà a breve una proposta di riforma strutturale che permetterà il ricollocamento dei lavoratori a rischio licenziamento, ma anche l’inserimento dei giovani NEET e degli inoccupati nel mercato del lavoro.  Un progetto che è stato preannunciato in occasione dell’incontro “Competitività delle imprese e occupabilità delle persone: la centralità delle politiche attive nella fase di ripartenza”, tenutosi  il 30 giugno a Roma, organizzato da Sistema Impresa e Confsal.

La parola chiave è formazione. “Le tutele passive sono importanti, in particolar modo in questa fase di programmazione della ripartenza, ma non sono sufficienti. La formazione permette di tutelare il lavoratore in modo non assistenzialistico soprattutto in un periodo caratterizzato da una rivoluzione tecnologica e organizzativa che impongono un cambiamento rapido ed efficiente”, ha dichiarato Cesare Damiano, già ministro del Lavoro e componente del CDA INAIL, che ha aperto il dibattito moderato dal segretario nazionale Confsal Rosalba La Fauci.

Per anni si è pensato che competitività delle imprese e occupabilità dei lavoratori fossero in contrapposizione. Storicamente infatti le imprese hanno concepito la formazione in modo utilitaristico  per la crescita dell’azienda e non del lavoratore. “In questa logica, la formazione ha una finalità produttiva e viene meno l’investimento nella persona”, ha spiegato Emmanuele Massagli, presidente di Adapt (Associazione studi nazionali e internazionali comparati sul diritto del lavoro e sulle relazioni industriali). “Dall’altra parte se viene chiesto al lavoratore se preferisca un premio monetario o un corso di formazione, questo sceglierà il primo.  E’ una logica che va compresa proprio perché la concezione della formazione in Italia, non è un elemento di irrobustimento del proprio CV”, ha aggiunto. Se un’impresa vuole essere competitiva, quindi, non c’è contrapposizione tra occupabilità a lungo termine e formazione. Serve un cambio di paradigma, necessario in virtù del cambiamento del modello economico-produttivo che sta avvenendo. 

Monitorare i percorsi formativi. La formazione è un diritto per la crescita della persona. Deve però essere valutata e monitorata in termini di efficacia. “Non abbiamo ancora disponibili i dati di quante persone sono collocate al termine di un percorso formativo”, ha spiegato Maurizio Mirri, direttore politiche attive per il lavoro di GiGroup Spa. 

Se è unanime la centralità della formazione continua, è altrettanto vero che sono evidenti alcune criticità. La Confsal, insieme a Sistema Impresa, è impegnata da tempo nello studio di un nuovo modello di paradigma che possa riallineare domanda e offerta di lavoro.

 Il sistema unico di attivazione al lavoro. “Diamo enfasi alle politiche attive ma manca un sistema unitario di attivazione al lavoro”, ha aggiunto il segretario generale della Confederazione Angelo Raffaele Margiotta. 

E’ questa la sfida che la Confsal si appresta a lanciare: “una riforma organica che contenga tutto ciò che oggi è frammentato e che coinvolga anche i soggetti privati”. 

Il Fondo competenze si colloca nel solco della formazione permanente, cioè  per coloro che hanno un lavoro, ma il vero problema è la qualificazione e riqualificazione di coloro che devono essere ricollocati nel mercato. 

Rivedere gli strumenti. Una riforma organica, secondo Margiotta, parte da un pilastro fondamentale: l’unitarietà delle platee. “Vanno uniti i percettori di reddito: Discoll, Naspi, reddito di cittadinanza ecc..” 

E va riconosciuta una dote finanziaria a ogni persona che perde il lavoro, composta da un assegno di collocazione che preveda una quota da destinare alla formazione; e un’altra come incentivo all’assunzione. 

Tuttavia quest’ultimo oggi è basato sulla qualità dell’impiego. Per questo “Il secondo strumento da rivedere è la previsione di una quota dell’assegno legata alla difficoltà di occupabilità della persona, e quindi al gap di occupabilità”. 

Infine sono necessarie le risorse da destinare alla professionalizzazione. “E’ importante colmare quel vuoto presente tra il mondo dell’istruzione (media-secondaria e universitaria) e il mondo delle imprese”, ha proseguito Margiotta. “Oggi in maniera limitata questa è rappresentata dagli ITS ma va implementata anche grazie ai soggetti privati che possono dare un contributo fondamentale”. 

Quindi prevedere un circuito in cui soggetti pubblici e privati possano concorrere a creare un percorso di accompagnamento del lavoratore nella transizione da un lavoro all’altro.

E Il sistema di relazione nato tra Sistema Impresa e Confsal fa della bilateralità il fiore all’occhiello. “E’ un sistema moderno capace di muoversi con una certa velocità e flessibilità.  Non vogliamo sederci su vecchi stereotipi ma essere lungimiranti verso nuovi modelli e nuove esperienze virtuose in termini di politiche attive”, ha concluso Berlino Tazza, Presidente di Sistema Impresa, che condivide con la Confsal la governance di importanti organismi paritetici come Ebiten, Ente bilaterale del terziario, il Fondo Fass nel campo dell’assistenza sanitaria integrativa e Formazienda, il Fondo paritetico interprofessionale. 

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